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Home / Resources / News / “Cosa sarà di noi senza i barbari?” Politiche giovanili nell’Euromed

“Cosa sarà di noi senza i barbari?” Politiche giovanili nell’Euromed

Traduzione di Marco Paparella

Articolo di Niccolò Milanese. Osservazioni tratte dall’intervento all’Anna Lindh Mediterranean Forum di Marsiglia del 6 aprile 2013.

Tra il 15 e il 20 di aprile, European Alternatives ospiterà attivisti egiziani, spagnoli e francesi nell’ambito del progetto ”Stop al precariato dei giovani, si all’azione democratica!’

Il Mar Mediterraneo, come ci insegna la storia della nostra letteratura, è notoriamente ingannevole. Poseidone e gli altri dei amavano prendersi gioco persino dell’astuto Ulisse. Ci sono tanti bei modi di associare le parole “gioventù” e “Mediterraneo”, e i nostri leader politici sono intenti a proiettare sogni al di là del mare nel tentativo di tranquillizzare una generazione preoccupata dal protrarsi della disoccupazione.
Nella nostra storia recente, bisogna ammetterlo, ci sono anche stati diversi pessimi esperimenti che hanno associato il Mediterraneo alla gioventù. Tra questi vi è l’ideologia fascista, un’invenzione tutta mediterranea. Mussolini sognava di dominare il Mare Nostrum, e il primo inno fascista si intitolava “Giovinezza”, un inno alla bellezza e alla forza dei giovani italiani, che avrebbero conquistato proprio quel mare che a detta di Mussolini spettava loro di diritto.

Voglio attirare l’attenzione sulla minaccia fascista non solo perchè si sta di nuovo affacciando sull’Europa (basti pensare ad Alba Dorata in Grecia, al partito bulgaro Attak o al Front National in Francia) ma anche perchè ritengo che, in quanto europei, abbiamo la responsabilità storica di cercare di imparare dal nostro passato, di non ripetere gli stessi errori e, in tutta umiltà, di offrire consigli e raccomandazioni anche ai popoli dell’altro lato del mediterraneo, affinchè evitino di compiere gli stessi passi falsi.

La storia dei primi anni del ‘900 è costellata di leader intelligenti e ben intenzionati che hanno aperto la strada al fascismo trascurando il modo in cui le loro parole, in un contesto di crisi, potevano essere manipolate e stravolte nel loro significato.

Tenendo a mente questo monito di portata storica, vorrei considerare ora la situazione dei giovani nei paesi del Mediterraneo.

Lo squilibrio demografico è la vera crisi

Tra una sponda e l’altra del mediterraneo vi è un grosso squilibrio demografico. Nell’Unione Europea, i giovani sotto i 30 anni costituiscono il 20% della popolazione, mentre nei paesi della costa sud del Mediterraneo sono il 40%. In Europa esiste già (e sarà così per molto tempo) una mancanza cronica di giovani lavoratori, necessari al mantenimento di un welfare state destinato ad una popolazione sempre più vecchia. Ciò significa che ci sarà bisogno di un influsso di lavoratori migranti, di una riduzione degli attuali standard di vita delle popolazioni più vecchie, o in alternativa di un cambiamento del modello economico. Nel mediterraneo del sud la disoccupazione giovanile è la più alta del mondo e le condizioni economiche sono decisamente peggiori che in Europa. L’attuale crisi nasconde il problema, perchè non c’è abbastanza lavoro per i giovani su entrambe le sponde del Mediterraneo, ma lo squilibrio esiste e supponendo che la crisi si affievolisca e vengano creati nuovi posti di lavoro (quello che dovrebbe essere l’obiettivo dei nostri leader politici) questo squilibrio diventerebbe sempre più evidente.

Idealizzando la gioventù si rischia di contribuire all’idealizzazione di una forza lavoro giovane, altamente produttiva, relativamente a basso costo, estremamente mobile e precaria, in grado di trasferire plusvalore alle multinazionali o agli Stati (del Mediterraneo del Nord), che nella migliore delle ipotesi lo utilizzeranno come capitale per pagare le pensioni o, più probabilmente, per salvare le banche e scommettere mediante queste ultime sui mercati globali.

Attualmente, nell’Unione Europea, l’ossessione per le politiche giovanili, per quanto necessaria e frutto di buone intenzioni, rischia di alimentare una vera e propria psicosi delle vecchie generazioni, alla disperata ricerca del consenso dei giovani per ragioni altruistiche ma anche egoistiche. Se le politiche giovanili non dovessero essere all’altezza – ovvero se i provvedimenti e le risorse stanziate non corrispondessero all’importanza attribuita alla gioventù – si rischierebbe seriamente di assistere, con il protrarsi della crisi, ad una crescita del sentimento fascista; prenderà piede l’idea (sbagliata) secondo la quale i giovani migranti del sud che arrivano in Europa spingono al ribasso i salari e rubano posti di lavoro, e l’impressione (abbastanza corretta) che le nazioni del sud del Mediterraneo vengano utilizzate come bacini di manodopera a basso prezzo per le imprese europee porterà la frustrazione a livelli sempre più esplosivi.
Finora, i segnali non sono positivi. Pur attribuendo una grande importanza simbolica ai programmi per la gioventù, nella sua bozza di bilancio per il 2014 l’Unione Europea non ha stanziato fondi sufficienti (ne sia l’esempio l’iniziativa per l’occupazione giovanile, con un totale di circa 100€ per ogni giovane disoccupato). Si discute attualmente della creazione di un progetto Erasmus Euromed e di un aumento della mobilità giovanile, ottime idee che tuttavia non cambiano, di per sè, la difficile situazione di precarietà dei giovani lavoratori. La Politica europea di vicinato (ENP) non è stata sufficientemente riformata in luce delle rivoluzioni in Egitto e in Tunisia, che hanno dimostrato che anche nelle aree in cui la ENP è stata più efficace (come le Zone di libero scambio euro-mediterranee con l’UE, a cui ha aderito per prima la Turchia nel 2008) la sostenibilità sociale delle riforme non è stata garantita. La riforma della ENP del 2011 non ha fornito risposte adeguate al fallimento sociale delle politiche precedenti e non ha affrontato neanche lontanamente gli squilibri economici sistemici tra il nord e il sud del Mediterraneo. Nell’attuale contesto di crisi e di grave squilibrio demografico, il fallimento di queste politiche non può che alimentare la retorica estremista, e le conseguenze sono già sotto i nostri occhi.

I movimenti giovanili, in quanto attori della politica e non semplici spettatori, devono unirsi solidalmente da una sponda all’altra del Mediterraneo per opporsi alla logica del capitalismo globale. Ciò significa che dovranno cominciare a pensare ad un nuovo modello economico per il Mediterraneo. Non sono sicuro che tra i movimenti giovanili questa riflessione sia stata portata molto lontano. In molti, all”interno di questi movimenti, pretendono più democrazia e libertà politiche, molti altri pretendono nuovi posti di lavoro. Meno numerosi sono coloro che si battono per un modello economico alternativo, per i diritti del lavoro o per una più equa distribuzione del capitale globale; solo pochissimi, invece, propongono un modello alternativo per il Mediterraneo.

E’ giunto il momento di un rinnovamento democratico nei paesi del Mediterraneo

Ritengo che il fallimento democratico di cui sono vittima i giovani europei vada oltre la frustrazione dovuta alla difficoltà nel trovare un impiego o al fatto di doversi probabilmente accontentare di una qualità di vita inferiore a quella dei propri genitori. Penso che sia anche il segno del fallimento dello stato nazione, incapace nella sua forma attuale di difendere la democrazia in un mondo sempre più interconnesso, in cui le modalità di comunicazione e i rapporti sociali sono cambiati radicalmente, specialmente tra i più giovani. Questo fallimento dello stato nazione è particolarmente evidente nel contesto europeo, dove le nazioni dell’eurozona con problemi di bilancio perdono parte della loro sovranità senza che vi sia un relativo trasferimento di democrazia a favore delle istituzioni europee. Tuttavia, vista l’interconnessione dell’economia globale cui ho già accennato, visto che il Mar Mediterraneo è un bene comune che condividiamo, e alla luce di altri legami tra Europa e Nordafrica, si potrebbe anche dire che il deficit democratico è generalizzato a tutta l’area del Mediterraneo. E’ evidente che, molto più che in passato, le politiche di ciascuna nazione hanno forti ripercussioni sui cittadini degli altri paesi del Mediterraneo. Se in democrazia tutti cittadini devono prendere parte in egual modo alle decisioni suscettibili di cambiare il loro futuro, l’attuale assetto istituzionale internazionale risulta palesemente inadeguato.

La mia preoccupazione è che i manifestanti di piazza Tahrir – per quanto io li sostenga e sia consapevole dell’importanza della loro battaglia – si concentrino esclusivamente sulla creazione di uno stato nazione democratico sul modello storico europeo proprio nel momento in cui questo modello si sta rivoltando contro i giovani dell’altra sponda del Mediterraneo: viviamo davvero in due mondi così profondamente diversi? Forse ci sarebbe bisogno di istituzioni trasnazionali, non politiche e non nazionali che siano realmente democratiche e uniscano tutti i paesi del Mediterraneo. La creazione di istituzioni simili potrebbe essere importante quanto e forse più della creazione di stati nazione democratici.

Questa riflessione suggerisce che all’interno dei movimenti giovanili sarebbe necessaria una riflessione più approfondita sul tipo di democrazia di cui abbiamo bisogno nel 21° secolo. Ritengo che in questo momento, grazie ai nuovi strumenti di comunicazione e all’importante sentimento di solidarietà tra i giovani di tutto il Mediterraneo, le condizioni per affrontare questo tipo di riflessione siano più favorevoli che mai. Bisogna però dare il via con urgenza a questa profonda riflessione partendo dalle esigenze comuni di tutti i paesi del Mediterraneo.

Antirazzismo

Come ho già detto, penso che dovremmo costruire la democrazia a livello regionale e non nazionale, e ho qualche speranza che il Mediterraneo possa essere il teatro di un simile esperimento.

Vorrei sottolineare, ricollegandomi alle mie osservazioni sulla necessità di imparare dalla storia europea, che, a mio parere, la creazione di una comunità internazionale nordafricana basata sull’identità araba sarebbe un errore, e che l’abitudine di parlare di Stati Arabi non sia del tutto innocua. Ritengo che il fatto di definire l’indentità costituzonale di una nazione o di un’entità politica su basi etniche finisca per giustificare la discriminazione di qualche minoranza. In ogni caso, significherebbe fondare una comunità politica su basi sbagliate e pericolose, contrarie non solo alle istanze di uguaglianza che dovrebbero essere al centro di ogni stato democratico, ma anche allo spirito di apertura e collaborazione che dovrebbe caratterizzare tutte le istituzioni politiche in un mondo sempre più interconnesso e votato alla mobilità.

Il poeta greco Cavafy, nato ad Alessandria d’Egitto, già all’inizio del 20° secolo considerava la minaccia “barbara” come un elemento quasi essenziale alle politiche mediterranee. Possiamo vedere questi “barbari” nei giovani migranti, nella gioventù ribelle, nelle minoranze etniche, nelle altre nazionalità, nei cosiddetti PIIGS…

Perché mai tanta inerzia nel senato?
Perché i Senatori siedono e non fan leggi?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno, le faranno i barbari.

Mentre la gente comincia finalmente a lottare per la propria libertà e la propria dignità in tutti i paesi del Mediterraneo, e i “barbari” (come ci auguriamo) rischiano di scomparire dall’immaginario comune, spetta a noi – soprattutto ai giovani, ma a noi tutti – rispondere alla seguente domanda:

E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?

Perché se non saremo in grado di rispondere, sarà il verso finale della poesia di Cavafy ad imporsi:

Era una soluzione, quella gente.

E ancora una volta li cercheremo, li faremo rivivere nella nostra mente e li useremo per giustificare le nostre azioni disumane… o la nostra disumana inerzia.