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Il mare non si vende, il mare si difende!

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Il mare Adriatico è in pericolo: gli interessi dei petrolieri spingono da entrambe le sponde per accendere le trivelle. Lungo le sue coste stanno proliferando le mobilitazioni in difesa dell’ambiente e contro il petrolio. Tutto si deciderà a livello europeo e transnazionale: è su questo piano che occorre spostare lo scontro, costruendo relazioni tra i comitati e i cittadini in lotta nei diversi Paesi.

«Cambiare il clima della terra in modo che diventerà caotico e disastroso è più facile che accettare la prospettiva di cambiare la logica fondamentale del capitalismo, basata sulla crescita e la ricerca di profitto». Ha ragione Naomi Klein in This changes everything ad identificare nell’alterazione ambientale e climatica del pianeta uno degli aspetti centrali dell’attuale sistema economico. Le dottrine neoliberali perseguono la massimizzazione del profitto ad ogni costo e in qualsiasi campo, dalla vita umana all’ambiente naturale.

È in questa tendenza generale che bisogna inserire i processi di intensificazione delle forme di sfruttamento degli esseri viventi e quelli di mercificazione delle risorse naturali e del patrimonio ambientale. All’interno di questo sistema economico-politico, i principali elementi che sono alla base della vita umana, e che in quanto tali dovrebbero essere tutelati come beni comuni – l’aria, l’acqua, la terra, il cibo – sono utilizzati eslusivamente come fonti di profitto. E alle regole del profitto e dei mercati vengono sottoposti.

Nel mondo e in Europa, stiamo assistendo a una crescente intensificazione di simili dinamiche. Uno degli esempi più significativi è quello delle trivellazioni petrolifere. Nonostante sia stato raggiunto un livello di sviluppo scientifico e tecnologico tale da permettere di investire su fonti energetiche alternative, rinnovabili, a impatto ambientale molto basso, l’esigenza di garantire enormi profitti a pochi soggetti continua ad orientare le politiche energetiche. Per questo, nei diversi Paesi europei stiamo assistendo a una generale rimozione degli ostacoli giuridici all’estrazione del petrolio e persino a politiche proattive in questo settore.

Il mare Adriatico è una dellle aree maggiormente sotto attacco. Da entrambe le coste. I governi degli Stati che si affacciano su quel lembo di mare, dall’Italia al Montenegro, dalla Croazia alla Grecia, non nascondono la convinzione che l’estrazione del petrolio sia un settore di investimento strategico per i prossimi anni. In questi Paesi sono già state adottate misure legislative al fine di rimuovere possibili ostacoli all’estrazione. In molti casi, sono partite anche azioni concrete con l’obiettivo di valutare l’effettiva presenza di oro nero. Insomma, le trivelle stanno scaldando i motori un po’ ovunque.

Per quanto riguarda l’Italia, la cornice normativa della ricerca del petrolio è il decreto “Sblocca Italia” (133/2014), immediatamente ribatezzato dai movimenti e dai cittadini che si battono per la difesa dell’ambiente “Sporca Italia” o “Sblocca Trivelle”.

Approvato dal governo Renzi, il decreto semplifica le procedure autorizzative per l’avvio di opere di esplorazione, trivellazione e stoccaggio, che potranno scavalcare tutte le norme che difendono paesaggi e ambiente. Quest’atto normativo sancisce la “pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità del petrolio”, aprendo la strada a un modello di sviluppo preciso, che antepone i pozzi neri al turismo, alla produzione alimentare di qualità e alla pesca.

Campania (principalmente la zona dell’Irpinia), Abruzzo e Puglia sono le regioni che in questa prima fase corrono i rischi maggiori di devastazione e saccheggio dei territori. I piani di esplorazione e trivellazione hanno numeri da brivido. In Abruzzo, si parla di circa 396.763 ettari su terra (più del 36% dell’intera superficie) e di oltre 469.731 ettari in mare (un’area più grande del Molise). In Puglia è tutta la costa ad essere in pericolo, dal parco naturale del Gargano alle propaggini più a sud della penisola salentina, per un totale di 1,6 milioni di ettari di mare: una superficie paragonabile a quella dell’intera regione!

Le cose non vanno meglio dall’altro lato dell’Adriatico. Croazia e Montenegro hanno lanciato gare internazionali per la ricerca e lo sfruttamento di gas e petrolio nelle loro acque. La Croazia ha messo a bando un’area di 12mila chilometri di metri quadrati, all’altezza delle coste pugliesi e abruzzesi, per la ricerca di idrocarburi e lo sviluppo di impianti di estrazione. Anche l’ENI si è accaparrata una fetta della torta. Dal canto suo, il governo montenegrino, conclusa la gara d’appalto, ha annunciato la lottizzazione delle proprie acque.

Eppure, sebbene il futuro sembri nero come il petrolio, in realtà è ancora tutto da scrivere. Dovunque venga annunciata una trivella, nasce un comitato di cittadini determinati a bloccarla. In tutte le regioni del Sud Italia sono nate strutture organizzative dal basso, intenzionate a difendere il mare e la terra contro il rischio estrazioni. Questo comitatismo diffuso ha prodotto decine di iniziative di denuncia e mobilitazione, che sono culminate nella manifestazione nazionale del 23 maggio a Lanciano. Qui, oltre 60mila persone, nonostante il silenzio dei media mainstream, hanno sfilato per affermare la volontà di impedire ad ogni costo le attività esplorative ed estrattive.

In Croazia e Montenegro la leva principale utilizzata dai movimenti per fermare la ricerca e l’estrazione del petrolio è quella del turismo. In questi Paesi, infatti, il turismo rappresenta quote rilevanti del prodotto interno lordo e le attività petrolifere rischierebbero di compromettere seriamente l’economia delle zone costiere. In Croazia è nata S.O.S. Adriatic una coalizione di ONG, comitati e iniziative della società civile che si prefigge di fermare le trivelle in tutto l’Adriatico. Partecipano alla coalizione: Green Forum (Zeleni forum), Zelena akcija/FoE Croatia (Zagreb), Sunce (Split), Zelena Istra (Pula), Žmergo (Opatija), BIOM (Zagreb), in collaborazione con Greenpeace Croatia e WWF Adria.

La transnazionalità dei processi di distruzione ambientale e dei piani di sfruttamento del mare impone ai movimenti l’urgenza di ricercare strategie comuni di resistenza e di azione. Mai come ora, la possibilità di strappare delle vittorie dipenderà dalla capacità di mettere in campo processi organizzativi e di mobilitazione che superino le frontiere degli Stati nazionali e definiscano una lotta transeuropea per i beni comuni.

Nei prossimi mesi sarà dunque impresicindibile creare degli spazi di confronto sul tema dell’opposizione alle trivelle, anche verso l’importantissimo vertice di Parigi COP21 (la Conferenza delle Parti sulla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici). Come European Alternatives, proponiamo di mettere a disposizione il TRANSEUROPA Festival, che organizziamo a Belgrado dall’1 al 5 ottobre, per realizzare un incontro europeo in cui le tante realtà locali nate contro la trivellazione dell’Adriatico possano incontrarsi, discutere ed immaginare discorsi e strategie comuni.

 

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