Nov 18, 2014
LA ‘NUOVA TURCHIA’
Articolo di Gürkan Ozturan
Tradotto da Roberto Carloni
Prima delle elezioni presidenziali del 10 agosto, quando la Turchia per la prima volta si è espressa riguardo il suo Presidente, Erdoğan aveva promesso di creare “la nuova Turchia”, dove sarebbe finalmente iniziato il processo di pace e si sarebbe pacificamente risolta la “questione curda”, sarebbero stati garantiti i diritti democratici e l’economia avrebbe iniziato a rifiorire. Tuttavia, se analizziamo i 50 giorni successivi alla nascita della cosiddetta ‘Nuova Turchia’, non notiamo nessun cambiamento, ad eccezione di nuovi modi di violare i diritti e la libertà dei cittadini.
Il Presidente aveva promesso di demilitarizzare le strade, poiché “il posto dei soldati è alle frontiere e il loro compito è quello proteggere il Paese dai nemici esterni”. Tuttavia non solo la polizia è stata militarizzata, ma addirittura le vie di alcune città sono invase dai carri armati, mentre ad Istanbul, le forze della gendarmeria si stanno mobilitando al fine di evitare qualsiasi tipo di manifestazione a sostegno di Kobane. In realtà, il vero pericolo per i manifestanti sono le folle anti-proteste che li attaccano a colpi di pistola mentre la polizia non sa come gestire la situazione.
Frontiere bloccate
Kobane, città nella regione curda della Siria, sta resistendo da giorni contro l’ISIS, la cui avanzata non accenna ad arrestarsi. Centinaia di migliaia di civili sono fuggiti e si sono diretti a piedi verso il confine con la Turchia, lasciandosi tutto alle spalle nella speranza di ricevere asilo. In tutta la Turchia si sono tenute delle manifestazioni a favore di Kobane alle quali hanno partecipato numerosi partiti politici e organizzazioni della società civile. Tali eventi, promossi principalmente dal partito curdo HDP (Partito Democratico Popolare), si sono ben presto trasformate in proteste violente. Finora, gli unici effetti sortiti sono stati l’imposizione di un coprifuoco in 6 città e la morte di oltre 15 civili.
Quando l’ISIS ha iniziato gli attacchi a Kobane, i civili si sono avvalsi del loro diritto di difesa e di resistenza per evitare una possibile strage, sebbene in molti abbiano dovuto lasciare la regione per sfuggire alla sua avanzata. Nel mese di settembre, si sono mobilitate centinaia di migliaia di persone poiché, per più di una settimana, la Turchia ha posto un blocco alle frontiere scatenando numerose proteste, le quali si sono concentrate nelle metropoli principali e soprattutto nelle città a predominanza curda. Finalmente il 19 settembre, la Turchia ha aperto le frontiere e ha concesso rifugio ai civili di Kobane in fuga dall’ISIS.
Approvato l’intervento militare
Una settimana dopo che la Turchia ha rimosso il blocco alla frontiera, è iniziato il dibattito sulla possibilità di un intervento militare. Le manifestazioni in strada si sono quindi trasformate in proteste anti-guerra. Il 2 ottobre, il Parlamento ha concesso all’esercito di intervenire in Iraq e in Siria contro l’ISIS. La decisione non è stata unanime, in quanto sia l’HDP sia il CHP (Partito Popolare Repubblicano) hanno votato contro.
Ma l’ironia del caso vuole che la situazione ora sembri essere cambiata. Il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) e il partito al governo (AKP) si sono dichiarati contro le proteste anti-ISIS organizzate dall’HDP con il tacito appoggio del CHP, sebbene siano stati proprio loro i primi ad approvare l’intervento militare contro l’ISIS.
Notte di scontri
Nella notte del 7 ottobre, la Turchia è ripiombata nella stessa oscurità che l’ha oppressa negli anni ’80 e ’90. Le proteste contro l’ISIS hanno iniziato a prendere una piega violenta.hanno iniziato a circolare immagini e video di auto ed edifici messi a fuoco, bandiere turche bruciate e busti di Ataturk abbattuti. Tuttavia, le immagini mostrate simultaneamente da tutti i media hanno dato l’impressione di essere state create ad hoc, soprattutto visti i casi precedenti in cui gli agenti del MIT (Organizzazione di Informazione Nazionale) sono stati scoperti a lanciare Molotov e a provocare proteste per incitare i civili alla violenza.
Ciononostante, tali immagini potrebbero aver avuto uno scopo ben preciso, poichè molti gruppi radicali nazionalisti e islamisti sono scesi in strada e hanno iniziato a sparare contro i manifestanti soprattutto dopo che è stata messa in circolazione la notizia (falsa) secondo la quale “alcuni contestatori stavano bruciando il Corano per strada”.
Prima ancora dei media, è stata la polizia a essersi dimostrata incapace di gestire la situazione. Quando gli scontri si sono inaspriti, è stato indetto il coprifuoco e l’esercito è intervenuto nei centri abitati di alcune città nella parte orientale della regione. Questa non è stata una dichiarazione ufficiale di legge marziale né di stato di emergenza, ma, quando i carri armati hanno iniziato a sfilare per le strade, non è stato necessario fornire una definizione di quanto stesse accadendo.
Nel corso degli scontri tra i manifestanti anti-ISIS e la polizia, quest’ultima è stata appoggiata dai gruppi a favore dello Stato Islamico. Secondo le prime notizie, circa 15 persone sono state uccise. Inoltre, è stata fatta una pericolosa dichiarazione che incitava a una rappresaglia contro le organizzazioni islamiche in Turchia. Negli anni ’90, l’Hezbollah (Partito di Dio) era stato usato contro il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e migliaia di persone hanno perso la vita negli scontri. Questa volta, gli episodi di violenza si sono verificati fin da subito e i gruppi curdi hanno dichiarato che non hanno intenzione di desistere.
Il ministro turco degli affari interni, Efkan Ala, si è espresso in merito alle proteste dichiarando che la violenza genera solo violenza. Ala ha adottato la stessa linea in occasione delle proteste al parco di Gezi nel 2013, quando era un consigliere per la sicurezza nazionale, dopodichè è stato nominato ministro senza essere stato nemmeno eletto in Parlamento.
Blackout dei media
Ancora una volta, i media turchi sono rimasti fedeli a se stessi. Mentre per le strade si consumavano violenti scontri, veniva dichiarato il coprifuoco in sei città e il bilancio delle vittime saliva a causa degli scontri tra i manifestanti pro e contro l’ISIS, le reti televisive trasmettevano programmi di intrattenimento, mantenendo la stessa linea adottata in altri periodi di crisi.
Quando l’Egitto è stato scosso dalle proteste e si è verificato un colpo di Stato, le reti turche hanno trasmesso la notizia in diretta live. Sembra che il pubblico turco abbia il diritto di essere informato sulle situazioni di crisi e sulle violazioni dei diritti solo quando queste avvengono all’estero.
Se fossero stati mostrati gli eventi accaduti, i partecipanti alle manifestazioni e alle proteste sarebbero stato dipinti come “terroristi” che hanno attentato all’unità nazionale e alla sovranità turca. I media stanno alimentando l’odio contro le proteste a sostegno di Kobane, agendo come la “fabbrica del consenso”. Tuttavia, considerato il numero di utenti che hanno accesso alle notizie riportate sui social media e su altri siti affini, il blackout mediatico sembra andare a favore di coloro che beneficiano degli scontri nelle strade turche.
La lobby del caos
Mentre in passato il governo turco ha fatto delle ‘lobby’ il capro espiatorio per qualsiasi problema, le recenti rivolte sono state etichettate come operato delle “lobby del caos”. Tutti i funzionari di Stato e i ministri intervistate in TV fanno ricadere la colpa su un’organizzazione inesistente e misteriosa che chiamano la “lobby del caos”, probabilmente una versione avanzata della lobby dei tassi di interesse, quella del terrore, dei social network, del porno, della magistratura, quella marginale e quella parallela di cui abbiamo sentito parlare in passato.