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La crisi Covid-19. Un punto di svolta per il progetto europeo

Di fronte alle gravissime sofferenze in tutta Europa, la crisi Covid-19 rappresenta senza dubbio il banco di prova decisivo della solidarietà per l’Unione Europea (UE), così come per il mondo intero. Dopo l’inadeguata risposta di politica economica alla crisi economica e finanziaria globale del
2008, un altro fallimento nel fornire risposte efficaci e condivise potrebbe esacerbare le tensioni sociali e politiche tra gli Stati membri. In questo caso sarebbe inevitabile il blocco, se non il vero e proprio crollo, del progetto di integrazione europea.

L’epidemia di Covid-19 ha rimosso – almeno per il momento – il feticcio della politica economica dell’UE: l’“austerità”. Di fronte a una disoccupazione di massa e a fallimenti di imprese senza precedenti legati alla chiusura delle attività economiche, le élite politiche neoliberali e conservatrici europee hanno rapidamente varato massicci programmi di sostegno pubblico, pari complessivamente al 10% o più del Pil dell’Unione Europea. La Commissione Europea ha sospeso le regole sul debito pubblico contenute nel Fiscal Compact e di fatto ha accantonato quelle sugli aiuti di Stato; al contempo, non senza una certa riluttanza, la BCE ha continuato la sua politica di
espansione del credito al sistema finanziario. Il dogma economico chiave dell’ultimo decennio, la causa principale dei problemi politici ed economici che l’UE affronta oggi, è stato abbandonato nel tentativo di salvare il sistema capitalistico da una crisi potenzialmente esiziale. Tuttavia, tutto ciò non rappresenta necessariamente un cambiamento di paradigma, come la crisi finanziaria del 2008-09 ha dimostrato.

Allo stesso modo, questa crisi mostra impietosamente il drammatico fallimento politico di tre decenni di privatizzazione e sottofinanziamento del settore pubblico, in particolare per quanto riguarda i servizi sanitari. A farne le spese sono soprattutto i sistemi sanitari pubblici con minori
risorse e personale. Questa crisi dimostra l’importanza cruciale di un settore pubblico forte e mette la parola fine alla favola neoliberale dello Stato minimo. Non è un caso che la crisi Covid-19 stia rivelando le terribili conseguenze dei gravi tagli al settore pubblico, in particolare nei Paesi come l’Italia, la Spagna e la Grecia che più hanno subito l’austerità fiscale imposta nell’ultimo decennio.

In questo contesto, è tragica la mancanza di solidarietà dimostrata da Germania, Olanda, Austria e altri Stati membri dell’UE nei confronti dei Paesi più colpiti dalla pandemia. Il
divieto di esportazione delle forniture mediche, la chiusura delle frontiere e, soprattutto, l’ostinato rifiuto di introdurre i “Coronabond” – o forme più estese e permanenti di mutualizzazione del debito – causano un danno enorme alla coesione politica dell’Unione Europea. Il fatto che in questo
scenario leader come il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte sottolineino pubblicamente il sostegno ricevuto da Cina, Russia e altri Stati, testimonia bene il sentimento di profonda frustrazione nei confronti della situazione politica dell’Unione.

Inoltre, le forze conservatrici e nazionaliste stanno sfruttando la crisi in corso per frenare qualsiasi soluzione alla spaventosa situazione umanitaria dei rifugiati attualmente bloccati ai confini dell’UE e nelle isole greche. A suo rischio e pericolo, l’UE sta ignorando l’imminente crisi umanitaria ed economica nel Sud del mondo, e in particolare nel continente africano.

La crisi Covid-19 non sarà quindi ricordata soltanto come un disastro umanitario con una perdita evitabile di migliaia di vite umane, ma probabilmente anche come un punto di rottura per il progetto di integrazione europea. La crisi produrrà ingenti costi sociali sotto forma di alti livelli di disoccupazione, aumento della povertà e un ulteriore incremento delle disuguaglianze.

Considerata l’attribuzione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, il ruolo centrale giocato dai governi nazionali durante la fase critica dell’epidemia è in gran parte inevitabile. Una volta superata la fase peggiore, però, i vincoli dei governi  nazionali nell’affrontare le conseguenze sociali ed economiche della crisi diventeranno evidenti.

L’elevato grado di integrazione finanziaria ed economica richiede l’adozione di un programma coordinato e cooperativo a livello dell’UE per ricostruire l’economia europea. Questo programma deve segnare una netta rottura con l’orientamento neoliberale che ha caratterizzato le politiche dell’UE negli ultimi tre decenni. Esso deve trasformare l’economia
europea in direzione di un nuovo modello di produzione e di consumo realmente inclusivo e sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. A tal fine, il Green Deal europeo deve
trasformarsi in un Green New Deal europeo. La dimensione sociale deve essere messa al centro con proposte politiche a livello europeo per affrontare disoccupazione di massa, povertà e disuguaglianza. Il danno arrecato ai servizi pubblici dall’adesione al dogma neoliberale deve essere corretto attraverso la loro riqualificazione. La dimensione ambientale deve trasformare il nostro sistema energetico, dei trasporti e alimentare, e ridurre in modo decisivo la nostra impronta
ecologica e i livelli di emissioni di anidride carbonica. La dimensione democratica deve coinvolgere i cittadini nella co-decisione delle priorità di investimento, in particolare a livello regionale e locale.

Il finanziamento delle iniziative governative non solo per superare l’attuale crisi, ma anche per affrontarne l’eredità futura e per costruire un futuro sostenibile, non può spettare ai
governi nazionali, singolarmente. È necessario introdurre misure comuni, tra cui l’emissione di Eurobond e un adeguato e considerevole bilancio dell’UE, come è stato già sostenuto da molti Stati membri. La crisi Covid-19 ha dimostrato che i mezzi finanziari per varare un massiccio programma europeo di trasformazione socio-ecologica ci sono, se c’è la volontà politica di attivarli. Allo stesso modo, devono essere progettate e realizzate rapidamente iniziative a livello internazionale volte alla riduzione del debito e all’aiuto allo sviluppo.

Facciamo appello alle forze politiche progressiste perché si uniscano dietro queste richieste e facciano pressione per un radicale cambiamento politico.

Gli Economisti Europei per una Politica Economica Alternativa in Europa – Gruppo EuroMemo (European Economists for an Alternative Economic Policy in Europe – EuroMemo Group) sono una rete di economisti europei impegnati a promuovere la piena occupazione attraverso un lavoro dignitoso e di qualità, la giustizia sociale attraverso l’eliminazione della povertà e dell’esclusionevsociale, la sostenibilità ecologica e la solidarietà internazionale.

Il comitato direttivo Di EuroMemo è formato da: Marija Bartl (Amsterdam), Marcella Corsi (Rome), Judith Dellheim (Berlin), Wlodzimierz Dymarski (Poznan), Marica Frangakis (Athens), John Grahl (London), Peter Herrmann (Rome), Laura Horn (Roskilde), Maria Karamessini (Athens), Jeremy Leaman (Loughborough), Mahmood Messkoub (The Hague), Heikki Patomäki (Helsinki), Ronan O’Brien (Brussels), Werner Raza (Wien), Magnus Ryner (London), Angela
Wigger (Nijmegen)

Contatti e adesioni: info@euromemo.eu