Nach Frankfurt

di Francesco Raparelli

Se leggiamo con attenzione i primi commenti politici e giornalisti dell'accordo raggiunto dalla troika con il governo Papademos, sembra evidente che non si è trattato di una svolta. Un coro unanime, dal Corsera al Sole, da Repubblica alla Stampa, dal Financial Times al Guardian, chiarisce, senza timidezza, che il default greco è stato solo rinviato di qualche mese. Mesi utili per le banche e per le corporation tedesche e francesi, che non hanno mai smesso di fare affari con la penisola ellenica. Mesi utili per i fondi sovrani cinesi o indiani, che continuano il “saccheggio” di terre assolate e porti, aeroporti e autostrade. La Bce inietterà nuova liquidità a sostegno delle banche e le banche continueranno a farne l'uso fatto fino ad adesso: capitalizzare per riprendere a speculare.

L'economista francese Fitoussi, sulle colonne di Repubblica, ha usato le parole giuste: nell'epoca che ci tocca in sorte l'unico sovrano è il Debito. Sull'Unità, invece, Silvano Andriani ci chiarisce un aspetto dell'accordo greco a dir poco inquietante: per la prima volta la trattativa si è svolta tra Stati – quello tedesco in particolar modo – e i leader di partito. Motivo? Semplicissimo: chiedere un impegno vincolante ai partiti, affinché, le eventuali svolte elettorali di aprile, non mettano in crisi gli accordi raggiunti. La democrazia in Europa non raggiungeva livelli così bassi dal trentennio delle guerre mondiali e dei fascismi. Non solo, l'assenza di un vero e proprio demos europeo ha accompagnato il “sacrificio greco” con un silenzio assordante.

Ma è un demos che occorre costruire in Europa? Una sfera pubblica razionale e riflessiva capace di rilanciare, nonostante la «dittatura commissaria» dei mercati finanziari e della Bce, quel modello liberale e socialdemocratico nello stesso tempo che per anni ha qualificato la differenza europea? Penso proprio di no. In Europa non serve un demos, omogeneo e dialogico (perché dotato delle stessa competenza comunicativa), piuttosto ci vogliono linee di frattura, discontinuità, lotte. Il progetto neoliberale tedesco ha tentato di costruire l'Europa attraverso una moneta e un patto di stabilità, una «governamentalità attiva» a sostegno del rigore di bilancio e della libera concorrenza. I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti: non ci voleva la spietatezza degli hedge fund americani per capire che una moneta senza una vera banca centrale e delle politiche fiscali unitarie non aveva e rischia di non avere alcun futuro. Ma per la Merkel che guarda a Oriente la sopravvivenza dell'euro, evidentemente, non sembra più cosa fondamentale.

È in questo quadro che si inserisce la sfida dei movimenti sociali: solo il conflitto, solo una moltiplicazione virtuosa di contropoteri può ridare senso alla prospettiva europea! Da qui è nata la sfida del meeting europeo dal titolo Reddito, beni comuni e democrazia che si è svolto al Teatro Valle Occupato tra il 10 e il 12 di febbraio. Oltre 40 associazioni e gruppi europei (dalla Romania alla Grecia, dalla Spagna alla Germania, dall'Austria alla Bulgaria) hanno discusso per tre giorni e con grande passione della necessità di rilanciare con forza la costruzione di un'Europa sociale fatta di diritti fondamentali e di nuova democrazia. Beni comuni e reddito di cittadinanza sono stati i terreni privilegiati del confronto politico e organizzativo, nella consapevolezza che sono questi gli assi strategici lungo i quali far crescere un'alternativa potente alla catastrofe neoliberale.

Beni comuni e reddito di cittadinanza sono due questioni fortemente intrecciate. Quando si parla di beni comuni, infatti, non si parla semplicemente di beni o di categorie merceologiche: al centro c'è la questione del comune, della cooperazione produttiva, della «relazione di servizio». Non ci sono beni comuni senza la comune gestione delle risorse, siano esse naturali o artificiali. Altrettanto: senza cogliere il processo di violenta espropriazione dei commons, dalla privatizzazione dell'acqua al land grabbing, dalla proprietà intellettuale ai brevetti, è impossibile riuscire a parlare di reddito di cittadinanza. È la nuova «accumulazione originaria» che si è fatta regola, lo sfruttamento biopolitico che investe la società per intero, a rendere il reddito di cittadinanza una pretesa necessaria: una «rendita sociale» contro il profitto che si è fatto rendita finanziaria e speculazione.

È stato davvero interessante ascoltare i racconti dei movimenti rumeni, da inizio gennaio in rotta di collisione con il governo e con l'austerità europea che impongono tagli alla sanità. Le lotte per il welfare nei paesi post-comunisti segnano una novità decisiva nella scena dell'Unione a 27: non è più vero che a Est si annida solo una minaccia per il modello sociale europeo. Da Est arriva un vento che chiede di farla finita con il neoliberismo selvaggio e “mafioso” che ha fatto seguito al crollo del socialismo reale. Hanno appassionato gli interventi tedeschi che, a vario titolo, hanno chiarito che non c'è alcun modello sociale e del lavoro tedesco da imitare o da invidiare: le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali imposte da Schröder hanno violentato salari e diritti, mentre le «politiche attive» hanno fatto il resto, imponendo forme di controllo inedite sui tempi di non lavoro e la formazione di milioni di giovani.

Proprio dalla Germania è arrivata una grande indicazione di lotta. Il 18-19 maggio, al seguito della giornata di mobilitazione globale proposta dal coordinamento spagnolo 15M per il 15 maggio, il movimento e la sinistra radicale tedeschi intendono occupare la city di Francoforte, contro le politiche di austerità e la troika che sta affamando Atene e l'Europa tutta. Se ne è discusso ulteriormente in una action conference che si tenuta proprio a Francoforte a fine febbraio.

Sono state le ICE, «iniziative dei cittadini europei», motivo di riflessione operativa sulle due campagne da avviare nei prossimi mesi. Strumento introdotto dall'articolo 11 dell'infelice Trattato di Lisbona, la ICE consente ai movimenti di attivare, attraverso la raccolta di 1 milione di firme (anche per via telematica) in 7 paesi europei a sostegno di una proposta di legge da presentare alla Commisione, una rete di comunicazione ampia, utile a comporre quel “corpo sociale europeo”, indispensabile per fare dell'Europa sociale da conquistare un obiettivo realistico e non velleitario.

L'urgenza della crisi greca ci chiede di procedere più rapidamente, ma è con questa urgenza che occorre guardare positivamente alla costruzione di una concreta trama organizzativa transnazionale. Un programma radicale per un'alternativa di sistema, che sappia portare l'Europa oltre la catastrofe che incombe. Un programma radicale che ci porti tutti, movimenti associazioni e sindacati, a contestare il “cuore” dell'austerity europea: la Bce e la Deutsche Bank. Contro il dogma della moneta, e la malinconia del rigore e dei sacrifici, la sfida dell'Europa sociale.

* Una versione più ampia di questo articolo la troverete su Alfabeta2 numero 17, in uscita a marzo