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La crisi dell’Euro: per una politica al passo coi tempi

Traduzione: Francesca Lucci

Negli ultimi due anni, i leader degli stati membri dell’Unione europea si sono riuniti sempre più di frequente per guadagnare tempo utile per rapportarsi in modo più deciso con la crisi economica che sta inghiottendo la zona euro e più in generale tutta l’economia europea. Si è passato da incontri trimestrali a quelli mensili, fino ad arrivare a conference call settimanali … ora il preavviso di partecipazione agli incontri tra capi di stato europei non supera i tre giorni…weekend inclusi. Non potrebbe esserci segnale più chiaro del rischio di fallimento imminente di un sistema politico.

?La decisione di George Papandreu di indire un referendum (poi revocato) sull’ultimo pacchetto di “salvataggio” per la Grecia, in seguito all’intesa raggiunta precedentemente con i leader europei, ha rigettato i mercati finanziati nell’incertezza totale e ha rivelato la limitata capacità politica di cui gli attuali leader europei ancora dispongono. Gli aggiustamenti tecnici per l’economia europea non sono più sufficienti, il tempo è ora scaduto: solo un cambiamento radicale del modo di fare politica potrà cambiare il corso degli eventi che rischia di dilaniare il tessuto sociale dell’Europa in un modo che richiederà tantissimo tempo perché lo strappo possa essere ricucito.

?La democrazia ha, in un certo senso, recuperato terreno sui leader europei. I segnali nell’ultimo paio di mesi sono stati molti, dalla delibera della corte costituzionale tedesca nei confronti di Angela Merkel, la quale in futuro sarà costretta ad ottenere un mandato da parte del Parlamento tedesco prima di esporre la Germania a livello europeo anche e soprattutto dal punto di vista economico, alla débâcle sul voto slovacco per il piano di salvataggio della zona euro … per non parlare dell’aumento del numero di manifestazioni pubbliche, accampamenti e occupazioni pacifiche.

?La decisone di ricorrere a un plebiscito pubblico in Grecia può essere vista come un ultimo disperato tentativo di restaurare un certo grado di democrazia nei processi decisionali, che hanno perso sia il supporto dell’opinione pubblica sia la fiducia dei mercati finanziari. La pressione apportata da Francia e Germania che ha costretto il primo ministro Greco a ritirare il referendum non farà altro che incrementare il risentimento pubblico nei confronti del pacchetto della zona euro. Una soluzione duratura alla crisi sarà possibile solamente attraverso un ripensamento delle fondamenta su cui si basa la democrazia europea. Di seguito, ecco alcune proposte di azioni da intraprendere sia a breve che a medio termine.

?La BCE come prestatore di ultima istanza

?Nell’immediato, per arginare il contagio della crisi del debito sovrano ellenico sarà quasi certamente necessario che la Banca Centrale Europea agisca come prestatore di ultima istanza per gli stati della zona euro, così da rendere meno fluttuante il prezzo sui mercati delle obbligazioni statali. Agendo sui mercati secondari, ciò sarebbe possibile già ora senza modifiche al trattato, e metterebbe fine alla situazione scandalosa che vede la BCE concedere prestiti alle banche a un tasso di interesse minimo, per poi invece applicare dei tassi altissimi ai governi. L’obiezione secondo cui così facendo la BCE creerebbe inflazione è infondata, avendo già la BCE concesso dei prestiti alle banche sui mercati secondari sulla base di titoli altamente discutibili, senza nessun impatto evidente sull’inflazione. Il rischio morale di concedere prestiti agli stati è inoltre sicuramente minore rispetto al rischio di concedere prestiti alle banche, data la loro esposizione e i loro recenti precedenti.

?Gli Eurobond e il controllo democratico europeo sull’economia ??

Nel medio termine, lo stabilimento degli Eurobond e l’apportazione di una serie di modifiche ai trattati europei appare inevitabile e allo stesso tempo desiderabile. Da una parte gli Eurobond, a simbolizzare la solidarietà europea e il rilancio dell’economia europea, dall’altra le modifiche al trattato per assicurare il controllo democratico sull’economia.

Sebbene la Germania negli ultimi mesi abbia mosso delle obiezioni legittime ai piani di salvataggio per la zona euro, la base delle loro proteste è quella secondo cui è ingiusto per le persone (ovvero per i contribuenti tedeschi), che non hanno nessuna voce in capitolo nelle decisioni riguardanti l’economia di un paese (ad esempio la Grecia), pagare per le conseguenze di quelle decisioni. Una rivendicazione simile è stata fatta da coloro che protestano contro l’utilizzo del denaro pubblico per salvare le banche: in questo modo, si chiede loro di pagare per una crisi in cui non hanno avuto nessun ruolo né colpa. I due problemi devono essere affrontati insieme e, fintantoché non sarà trovata una soluzione, qualsiasi accordo internazionale dipenderà dal cambiamento delle situazioni politiche nazionali, non offrendo così nessuna sicurezza in un’economia europea integrata.??La democrazia è, tra le altre cose, il modo migliore per assicurare responsabilità e trasparenza. Sono necessari un maggior controllo democratico sull’economia e la fine del dogma neoliberale secondo cui essa debba essere indipendente rispetto a qualsiasi controllo o regolamentazione politica. Allo stesso tempo, il controllo democratico sull’economia europea deve avere realmente uno stampo europeo: non è più politicamente o socialmente sopportabile che i decisionisti eletti nazionalmente o i gruppi di opinione nazionali prendano decisioni che hanno impatti enormi per altri all’interno dell’Unione Europea. L’autorità economica europea deve essere direttamente europea per i cittadini europei e non più frammentata attraverso istituzioni nazionali le quali creano una nebbia istituzionale, impedendo così una riflessione efficace sul bene comune europeo.??L’unica alternativa per incrementare il controllo democratico sull’economia, in un tipo di economia come quella europea, è imporre una camicia di forza istituzionale che limiti le scelte politiche nazionali e, più probabilmente, favorire maggiormente le ricche economie europee creditrici rispetto ai fragili paesi debitori. Il rafforzamento di quello che in linea di principio era un’inflessibile camicia di forza, il Patto di stabilità e crescita, non solo rappresenta un approccio incauto a imparare da una crisi (dove la flessibilità è esattamente ciò che viene richiesto), ma sarà percepito come un’imposizione dai cittadini e non ci sarà per questo nessuna garanzia sulla sua tollerabilità. ?

Un’agorà dei cittadini per un nuovo patto sociale

??Per raggiungere quel cambiamento necessario alla democrazia europea, il processo di modifica del trattato dovrà essere considerabilmente diverso rispetto all’esperienza dei trattati di Nizza e di Lisbona. L’élite europee non possono più autonomamente disegnare un nuovo trattato  e aspettarsi che l’opinione pubblica lo approvi totalmente. Abbiamo già visto i risultati di questo approccio, anche in condizioni molto più favorevoli. Il processo non deve solo avere legittimità politica, ma coinvolgere i cittadini sin dall’inizio. Infatti, per istituire una cittadinanza europea che concepisca se stessa come un’unica comunità politica, con i cittadini disposti ad agire per sostenersi l’un l’altro e a prendere decisioni condivise avendo istituzioni politiche comuni che permettono loro di farlo, garantendo al tempo stesso i loro diritti fondamentali e sociali, sarebbe meglio iniziare con una riflessione pubblica realmente transeuropea su larga scala, che coinvolga le ONG e i cittadini stessi così come i politici e i funzionari di tutta Europa in modo da poter decidere un nuovo patto sociale per un’economia solidale. Questa riflessione transeuropea potrebbe essere chiamata “agorà” e andrebbe infine concretizzata nel Parlamento europeo.

?Il processo di modifica del trattato solleverà delle questioni difficili, non ultima quella riguardante lo status di quei paesi che ancora si mostrano reticenti verso un impegno più deciso a favore dell’integrazione europea, come la Gran Bretagna che prevede un referendum per l’approvazione dei nuovi trattati. Esiste già un’Europa a più velocità in alcune aree di integrazione: la Gran Bretagna e la Polonia non hanno aderito alla Carta dei Diritti Fondamentali; l’area Schengen comprende 25 stati membri e non dell’UE, e questi sono solo alcuni esempi. Ulteriori modifiche al trattato dovrebbero permettere l’estensione di questa logica di cooperazione potenziata nella gestione dell’economia e nel suo controllo democratico. Sebbene si ritenga che l’interesse principale dei popoli di tutti gli stati dell’Unione sia quello di essere il più integrati possibile, in modo da superare la reticenza a collaborare di alcuni stati e chiarire la situazione per tutti, queste questioni devono essere ulteriormente trattate ed infine risolte. L’indecisione sta avendo sia un costo finanziario piuttosto tangibile sia un ancor più critico costo democratico, ravvisabile nel distacco da tutte le istituzioni politiche e nella crescente sfiducia verso le stesse.

?Altre decisioni difficili riguarderanno come il Parlamento europeo, o un sistema di Parlamenti europei, eserciteranno il loro controllo democratico sull’economia europea, e più in particolare sull’autorità e sullo scrutinio democratico della BCE.

?Un Congresso per il Cambiamento??

Noi cittadini d’Europa abbiamo bisogno di sentire che possiamo prendere parte alla ridefinizione della politica europea. Laddove i leader nazionali stanno fallendo, i cittadini hanno sia il diritto che la responsabilità di agire per preparare la strada alla nuova politica che sostituirà quella attuale. European Alternatives, insieme a molte altre organizzazioni, è impegnata in questa direzione. Con questi obiettivi in mente, European Alternatives convocherà un Congresso per il Cambiamento presso il Parlamento europeo il 30 novembre, come inizio di un processo che proseguirà in tutto l’arco del 2012.

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