Come si scrive crisi

Questo articolo è parte del Transeuropa Journal, la pubblicazione ufficiale del Transeuropa Festival 2012

di Niccolo Milanese
traduzione di Plinio Limata

La crisi economica Europea, spesso associata alla Grecia nell’immaginario popolare, è anche espressa in termini derivanti dal greco antico: krisis letteralmente significa “decidere, giudicare”, ed il termine era usato per indicare un punto di svolta in una malattia, il momento critico verso la morte o la guarigione; economia deriva da Oikonomia, che significa “gestione della casa”. La crisi economica europea quindi, è un momento cruciale nella malattia che sta colpendo la comune casa europea, e la domanda è se la malattia continuerà o se il punto di svolta per la guarigione sia stato raggiunto.

La crisi del debito sovrano in Europa – che ha riempito le prime pagine dei giornali e le agende di un numero crescente dei summit europei negli scorsi due anni – ha rivelato una crisi politica di fondo all’interno dell’Unione Europea. La crisi politica è una crisi della sovranità stessa, una crisi della stessa possibilità di governance, che ha un po’ ironicamente espresso se stessa in una forma monetaria della crisi del debito.

Una precedente versione di questa crisi aveva senza dubbio motivato la creazione dell’Unione Europea stessa già sessant’anni fa: devastati dalla guerra, i governi dei paesi fondatori membri dell’Unione si resero conto di non poter raggiungere alcuna prosperità indipendentemente l’uno dall’altro, e che la loro legittimità politica si basava su quella promessa. L’Unione Europea era una risposta. La promessa, ovviamente, è stata realizzata  in modo non uniforme ed equilibrato tra le popolazioni europee man mano che l’unione Europea si allargava, ma era sufficientemente credibile per un certo numero di persone per tenere più o meno la crisi nascosta.

Ora la promessa di qualsiasi ulteriore miglioramento economico sembra sempre più una chimera, e le grandi disuguaglianze che sono state create negli scorsi 20 o 30 anni stanno diventando incredibilmente ingiuste per coloro che si trovano alla base (del sistema). Le disuguaglianze sono il vero veleno della malattia, e tutti i segni recenti dimostrano che la malattia sta peggiorando.
La crisi politica è presente soprattutto a livello nazionale. La pretesa dell’indipendenza dell’economia dalla politica è soltanto una mezza volontà, i poteri politici a livello nazionale non potrebbero controllare totalmente l’economia e tutti i suoi attori anche se volessero. La realtà è molto più simile ad un patto di Faust in base al quale i leader politici hanno scelto di lasciare alcune parti dell’economia più libere di altre (mercati finanziari in particolare) sulla promessa di una crescita sufficiente e di mantenere un contratto sociale con le loro popolazioni. La distribuzione dei ricavi del capitalismo finanziario è divenuto sempre più iniquo e spinto dal crash creditizio del 2008 e 2009 questo patto della globalizzazione è andato in pezzi con una improvvisa perdita di fiducia per tutti.

La battaglia è ora tra quei leader politici e istituzioni finanziarie che stanno ancora ricevendo alcuni benefici di breve periodo dal sistema fallimentare e le classi delle popolazioni d’Europa a cui si chiede di pagarne il prezzo. Le istituzioni della Governance Europea, che sono espressione del compromesso trovato tra governi e mercati in una sovranità condivisa – in particolare il Consiglio Europeo, la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea –  sono divenuti disfunzionali e sono sempre più bypassati completamente. Il nuovo accordo del Fiscal Compact –  che si suppone risolva la crisi economica europea attraverso una rinforzata austerità e disciplina –  è una pura espressione del disequilibrio del potere nel regno intergovernativo. Le élite economiche stanno cominciando ad abbandonare la casa europea e a costruire una fabbrica sfruttatrice nella porta accanto.

Un ritorno all’economia nazionale, cosi come un ritorno alla politica nazionale, è impossibile così come indesiderabile per le economia europee, troppo piccole per prosperare in un mondo sempre più globalizzato di attori regionali e già altamente interconnesso sia economicamente sia socialmente. Il desiderio di un ritorno al mitico “modello nazionale” è semplicemente un supporto alla situazione corrente dove le nazioni più potenti economicamente decidono per le altre: ma presto il club delle “nazioni più potenti economicamente” potrebbe non includere nessuno dei membri europei.

I cittadini europei devono vedere la crisi di legittimazione dei governi europei per quello che è: l’espressione di una crisi di lunga durata che è stata coperta con la promessa di benessere. Potremmo dire che la prima vittima della crisi economica è la democrazia stessa, ma sarebbe molto più accurato dire che la crisi economica è stata provocata da un fallimento della democrazia. La risposta deve perciò insistere sulla democrazia stessa prima di tutto. Nei movimenti di occupazione così come nelle altre forme di mobilitazione dei cittadini, abbiamo visto molti cittadini comprendere la necessità di reinventare la democrazia cosi come allo stesso tempo è richiesta una reinvenzione dell’economia verso una forma più giusta della stessa.
Laddove gli stati nazione e le elite non hanno più i loro interessi nel sostenere la casa europea, i cittadini devono occupare questi spazi. La costruzione dell’Europa, quali che siano i suoi difetti e tradimenti negli anni passati, offre il potenziale per la fondazione di un nuova e più democratica forma di società adatta al 21° secolo: una che sia basata su solidarietà e collaborazione, non su competizione e sfruttamento, una casa grande abbastanza per regolare i flussi di capitale globale e costruire una economia alternativa che possa influenzare il mondo.