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Attivismo, collettività, beni comuni: intervista con il Group for Social Action rumeno

gasIntervista a quattro dei membri fondatori del Group for Social Action (GSA), piattaforma intellettuale, attivista e di sinistra lanciata a Cluj (Romania) agli inizi del 2011. Il gruppo riunisce giovani intellettuali, attivisti e artisti.

Intervista: Diana Prisacariu
Traduzione: Adele Palermo

Diana Prisacariu (European Alternatives):   Qual ‘è la ragione che ha dato vita alla piattaforma GSA e come vi siete mossi per realizzarla?

Ciprian Bogdan: Di recente avevamo notato l’’esistenza di un numero significativo di affiliati persone dialla sinistra che non riuscivano, però, a ottenere visibilità o a organizzarsi sufficientemente in modo da avere un impatto numerico. L’’iniziativa del GSA era intesa a colmare questa lacuna attraverso la creazione di una piattaforma dedicata a quasta massa di voci critiche, una massa allo stesso tempo eterogenea (in termini di background e opinioni) e aperta al dialogo. Abbiamo cercato di far fede a uno dei principi fondanti la sinistra, quella forma di solidarietà capace di incoraggiare opinioni e punti di vista diversi.

Adi Dohotaru: Il GSA è stato creato per essere il luogo di incontro di varie opzioni ideologiche di sinistra. Tuttavia vorremmo, in un’ottica futura, contribuire a dare l’’input a dibattiti politici e all’’attuazione di soluzioni tese alla realizzazione di “”una società più democratica ed equa all’’alba di un mondo post-capitalistico””, proprio come è affermato nella nostra dichiarazione di principi.

Lucian Butaru: Il nostro interesse principale èsiamo principalemte interessati a  contribuire alla descrizione delle problematiche. Oggigiorno dobbiamo fare i conti con una sorta di monopolio della destra, monopolio che esclude a priori soluzioni alternative. Questo processo è teso a fornire gli strumenti necessari alle proteste degli “”indignati””.

Norbert Petrovici: Cluj (Romania) è il luogo che ha recentemente assistito alla nascita di un importante movimento intellettuale di sinistra; ecco perchè avevamo bisogno di realizzare una piattaforma per il dibattito e l’’attivismo sociale. Così il GSA è diventato una delle reti della sinistra, un network con lo scopo dichiarato di creare luoghi di incontro o di partecipare a qualunque altra proposta di solidarietà.

Diana Prisacariu (EA): Qquali sono i principali ostacoli che ancora oggi impediscono in Romania il riconoscimento dell’eredità della sinistra? Quali sono i meccanismi che fanno sì che la destra prevalga nell’ambiente culturale rumeno?

Ciprian Bogdan: Non ci interessaè un ritorno “”nostalgico”” alla tradizione di sinistra a interessarci, bensì la ricerca di risposte ai problemi strutturali della società contemporanea. Se dobbiamo, però, tenere in considerazione il rapporto con il passato, si potrebbe dire che uno degli impedimenti alla realizzazione di molti degli elementi obiettivi legati all’’eredità della sinistra è sicuramente il suo carattere intrinseco di pluralità conflittuale. Esistono diverse tradizioni di sinistra, spesso non compatibili tra loro anche su piani basilari. Tuttavia alcune di queste tradizioni furono compromesse perchè proteggevano o, quantomeno, non osavano essere sufficientemente critiche nei confronti delle società post-belliche dell’’Europa dell’’Est. Considerando la percezione reale, La popolazione rumena tende ad associare i principi della sinistra all’’esperimento nazional- comunista e, di recente, ai tentativi imprevedibili e a volte addiriuttura conservatori del Partito Sociald Democratico.

Lucian Butaru: Dunque tuttavia gli intellettuali di sinistra rumeni si trovano in una situazione terribile, quella di dover combattere una guerra su più fronti: il primo è quello di una guerra contro le rappresentazioni comiche dei partiti di sinistra note alla popolazione perchè diffuse attraverso vari media controllati o influenzati dagli intellettuali della destra; la seconda guerra è quella contro gli attuali orientamenti della sinistra che, a causa dell’’apparenza nazionalistica, conservatrice e, a volte, non democratica, in parte si addicono alle rappresentazioni comiche fatte dall’’orientamento di destra. Il terzo fronte è quello di lotta contro le diseguaglianze connesse al capitalismo.

Adi Dohotaru: Se davvero volessimo ripristinare la tradizione della sinistra rumena, potremmo sempre far riferimento ai movimenti   del XIX secolo e della prima metà del XX. Esisteva allora una ricca varietà di movimenti come quello anarchico progressista, quello social democratico, quello marxista, femminista e via di seguito, una varietà che meriterebbe di essere analizzata in toto. Non ci sono molti rumeni che ricordino i nostri socialisti (quelli che si opponevano ai movimenti liberali e conservatori), che si battevano strenuamente per il diritto di voto universale, per i diritti dei lavoratori, dei contadini associati in cooperative agricole per ottenere le terre, il diritto delle donne di essere assunte nel settore pubblico, libertà di espressione o per i diritti delle minoranze. Queste idee hanno portato alla nascita di numerose riviste socialiste, centinaia di unioni sindacati, proteste, campagne pubbliche, scioperi. Tale eredità, anche se meno incisiva che in altri paesi europei, rimane tuttavia sepolta per due ragioni principali: da un lato la qualità dubbia della storiografia precedente il 1989 la quale, anziché è avere un approccio critico di filtraggio e analisi di tale eredità, tendeva a presentarla in modo declamatorio, trionfalista e propagandistico, spogliandola di ogni contenuto concreto. Dall’’altro lato gli intellettuali di destra così come i cittadini rumeni hanno rifiutato tale eredità perchè ancora erroneamente associavano la social democrazia di sinistra al bolscevismo. Tale confusione è spesso generata da una tecnica di manipolazione tecnica utilizzata dal discorso della destra post- rivoluzionaria, al fine di articolare la sua egemonia culturale e ideologica. In sintesi, secondo il discorso di questa vulgata storiografica, un qualsiasi movimento che mettesse in discussione il capitalismo (o meglio il “”libero mercato”,” secondo la loro opinione) sarebbe anti-democratico nonché è una forma di persuasione autoritaristica.

Norbert Petrovici: Non vedo nessun vantaggio esplicito nel riacquistare una tradizione di sinistra, sia essa locale che o nazionale, anche se molte delle idee della fine del diciannovesimo e gli inizi del ventessimo secolo costituiscono un’’importante riserva teoretica. Considero il tipo di analisi centro-periferica estremamente interessante, così come il modo particolare di teorizzare la periferizzazione dei paesi rumeni. Dal mio punto di vista è molto più importante costruire dei network regionali e globali che attivino e producano conoscenza alternativa, facendo sì che si possa considerare l’’esistenza di un ordine post-capitalista.

Diana Prisacariu (EA): Gli effetti delle speculazioni finanziarie nelle economie dell’Europa meridionale vengono discusse più ampiamente rispetto a quelle dei paesi dell’’Europa dell’’Est. Quali sono gli aspetti salienti della crisi economica rumena? Quale è stata la risposta del governo al ricatto dei mercati finanziari?

Ciprian Bogdan: La classe dirigente rumena ha affrontato il problema della crisi finanziaria utilizzando una logica neoliberale: chi paga per la crisi è lo Stato stesso, inclusi gli impiegati statali e i pensionati. Altro problema è quello dell’’utilizzo strumentale da parte dei politici di destra della crisi economica. Questi ne hanno fatto il pretesto di una “”riforma”” della società rumena, riforma che si è trasformata in un attacco violento ai principi dello stato sociale visto come fantasma dell’’eredità comunista e come causa della mancanza di competitività della società rumena.

Lucian Butaru: Non è facile stabilire se le azioni dell’’attuale classe dirigente siano state dettate dal ricatto finanziario o dalla sua mancanza di competenza. È nondimeno possibile che la verità sia nel mezzo, e questo perchéè, una volta superate le differenze regionali, molti dei governi continuano a ripetere gli errori della “crisi di austerità tra le due guerre ” durante un periodo diuna “crisi dela consumo”  tipicamente interbellico. La risposta può essere solo una, a prescindere dai diversi punti di vista: la mobilitazione politico-ideologica. Il monologo “”post-ideologico”” che ha fatto seguito al 1989 non è solamente noioso, così come lo stringersila tendenza dei partiti verso iintorno al un centro non è solamente un segno di maturità; entrambe le situazioni sono un campanello di allarme. La democrazia stessa è in pericolo, non solo il benessere e la tranquillità quotidiani.

Norbert Petrovici: La Romania dell’’inizio degli anni ‘’90 ha adottato coerenti politiche neoliberali di austerità e minimizzazione degli investimenti in ambito sociale. Questo è dovuto anche alla costante applicazione delle politiche consensuali provenienti direttamente da Washington, così come al fatto che il nostro immaginario teoriretico accomuna il neoliberismo al capitalismo. I nuovi accordi del Fondo Monetario Iinternazionale tesi al superamento dell’’attuale crisi capitalista hanno lasciato immutate le principali forme di politiche di austerità. Tuttavia abbiamo sicuramente a che fare con una radicalizzazione del programma neoliberale in termini di politiche pubbliche dovuta a una ingovernabilità del mercato del lavoro, alla privatizzazione dei sistemi scolastici, sanitari e delle forze dell’ordine. Ci troviamo di fronte a nuove politiche di competitività competizione spaziale che non fanno altro che aumentare il gap spaziale.

Diana Prisacariu (EA): Cosa significa essere un attivista di sinistra in un paese come l’attuale Romania di oggi?

Lucian Butaru: Molti di noi sono dei novizi, quindi stiamo sperimentando e cercando di imparare dagli errori, sia nostri che altrui.

Adi Dohotaru: Per noi, l’’attivismo è una forma intensa di promozione di valori, campagne sociali, verità. Perché abbiamo bisogno di sfidare tutto? Abbiamo scelto la sfida e l’’attivismo perchè in Romania, e non solo, i cittadini non sono considerati sufficientemente competenti per prendere decisioni, diversamente dalle elites che, basandosi sull’’esistenza di presunte qualità e attitudini naturali, hanno un diritto di prelazione su tali decisioni. Il nostro attivismo intendeè inteso a cambiare tale percezione e, se possibile, a risolvere problemi specifici. Ad esempio, la GSA, insieme al Grupul de Lucru al Organizatiilor Civice (Gruppo di lavoro per l’’organizzazione civile, www.gloc.ro ), hanno recentemente partecipato a varie proteste sociali che hanno avuto un effetto concreto, dal blocco di cantieri edili illegali alla richiesta di accesso ad alcuni immobili da parte delle comunità rom.

Norbert Petrovici: Essere un attivista vuol dire sforzarsi enormemente per giustificare, motivare, creare equivalenze, dimostrare senso di coesione sociale, mostrare la capacità di creare beni che siano gestiti comunemente, dimostrare l’’umanità degli altri e il fatto che nessun essere umano può essere mercificato e assimilato a una fonte di profitto.

Diana Prisacariu (EA): Cosa ne pensate del movimento degli “indignados”ti esploso in Europa? Quali sono secondo voi le ragioni della scarsa partecipazione dei rumeni?

Adi Dohotaru: Le proteste dei giovani “”indignati”” provenienti dai paesi dell’’Unione europea sono state considerate come una “Rivoluzione Europea”. Si, secondo me si tratta di un’interpretazione erroneamente ed enfaticamente,  come una “Rivoluzione Europea”, perché non sono mai stati pronunciati discorsi di rilievo o tesi sulla   destrutturazione del sistema. Ciò nonostante abbiamo partecipato alle manifestazioni a Cluj, Romania, che hanno raccolto solo un centinaio di persone, soprattutto perchè volevamo principalmente mostrare solidarietà con i giovani spagnoli le cui possibilità di un futuro dignitoso sono minacciate dalla crescente mancanza di opportunità nel mercato del lavoro, dovuta alle ineguaglianze all’’interno della società spagnola. Abbiamo partecipato al movimento “”Real democracy now”” (“Democrazia reale adesso”, la frase che ha spinto iluna frase che ha suscitato la simpatia di GSA a simpatizzare, più delche la pomposa “”rivoluzione””) per socializzare con altri giovani che stavano vivendo questa stessa incapacità di accettare una società così mercificata come la nostra. Allo stato attuale delle cose, la struttura migliore che ci venga in mente è fornita è quella dei docenti delle conferenze e dei gruppi di lavoro della GSA, quella fatta sulle tecniche creative per il coinvolgimento dei cittadini negli affari pubblici. L’idea che c’è dietro di queste tecniche è quella di presentare e immaginare una struttura deliberativa democratica opposta alla democrazia capitalista e parlamentare odierna. Questo seminario del GSA si terrà questo autunno e mira ad avere un pubblico di studenti, giovani intellettuali, ONG, rappresentanti di associazioni di proprietari terrieri, membri delle unioni sindacalisti, giornalisti e cittadini.