Le elezioni e tutto ciò che segue

change around the corner

Il prossimo Parlamento Europeo deve diventare il perno di una nuova struttura democratica per l’Europa.

Non c’è alcun dubbio che il Parlamento Europeo ricopra un ruolo importante e al tempo stesso unico all’interno del sistema democratico europea. Il dibattito sull’inutilità del parlamento ha ormai perso di credibilità: sin dall’adozione del Trattato di Lisbona, il Parlamento, congiuntamente al Consiglio europeo, ha preso decisioni in quasi tutte le aree riguardanti la politica comunitaria. Quest’istituzione ha, inoltre, giocato un ruolo fondamentale in determinati ambiti, ergendosi a difesa dei diritti dei cittadini laddove nessun altro parlamento del mondo aveva osato farlo: con l’introduzione di una serie di clausole a tutela dei diritti fondamentali nell’accordo SWIFT con gli Stati Uniti d’America sui trasferimenti bancari internazionali e il rifiuto rispetto al Trattato anticontraffazione ACTA sui diritti di proprietà intellettuale, il Parlamento europeo, nel corso dell’ultima legislatura, si è adoperato laddove i parlamenti nazionali si sono rifiutati di agire, con conseguenze a livello globale. In altri ambiti di sua competenza, il Parlamento uscente è stato decisamente deludente: ad esempio, con l’approvazione di un bilancio europeo mal strutturato e, per la prima volta nella storia dell’Europa, con budget ridotto, il Parlamento non è stato in grado di utilizzare appieno i propri poteri per opporsi agli interessi concorrenziali delle singole nazioni all’interno del Consiglio, a beneficio del bene comune europeo. Dunque, il Parlamento non è stato inutile, ha solo fallito nell’esercitare pienamente il proprio potere, ma una maggioranza differente potrebbe agire in modo diverso in futuro.

Tuttavia, indipendentemente dalla discussione su come abbia esercitato i propri poteri formali vigenti, l’attuale Parlamento non è stato in grado di difendere la democrazia all’interno dell’Unione Europea. Nel contesto della più grande crisi economica e sociale affrontata dall’Europa in questi ultimi sessant’anni, al Consiglio europeo, e più precisamente ai più importanti capi di governo all’interno del Consiglio, è stato permesso di definire l’agenda pubblica e legislativa, andando non solo a minare il principio costituzionale secondo cui la Commissione debba detenere l’esclusività delle iniziative legislative come garante dell’interesse comune dell’Unione europea, ma anche a risvegliare la competitività tra le nazioni nell’opinione pubblica europea, e a condurre a decisioni politiche dannose, che hanno intaccato la fiducia dei cittadini nella politica e nei sui rappresentanti in generale.

Emergenza istituzionalizzata: la necessità di un accordo costituzionale che abbia inizio con il Parlamento

Nell’affrontare la crisi economica, le istituzioni europee hanno creato una struttura attualmente assai antidemocratica, nella quale le decisioni cruciali riguardanti il futuro economico delle singole nazioni vengono prese lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, e l’austerità, così come la tutela dei Paesi in disavanzo, è parte di un sistema nel quale diventa impossibile trovare un’intesa comune sui bilanci per gli investimenti e i trasferimenti fiscali: la responsabilità di tutto questo è in parte del Parlamento, che dovrebbe essere la sede ideale dove prendere tali decisioni. Per questo motivo, è comprensibile che alcuni commentatori si lamentino del fatto che, nel contesto di questa “rivoluzione dall’alto”, il Parlamento Europeo possa apparire come l’unica istituzione eletta democraticamente all’’interno degli organi europei quando in realtà agisce come una sorta di “facciata democratica”, in un sistema che ha tendenze profondamente antidemocratiche. La richiesta di un nuovo accordo istituzionale che ponga la democrazia al centro del processo decisionale in Europa deve essere un imperativo del nuovo Parlamento per ristabilire la propria credibilità.

I parlamentari europei potrebbero attribuire la colpa a una Commissione europea debole, ma anche il Parlamento è responsabile di aver chiesto conto alla Commissione, anche approvando la nomina dei commissari, in seguito a sedute di scrutinio. Questa volta possiamo auspicare che ci possa essere un cambiamento nel rapporto tra Parlamento, Commissione e Consiglio, qualora venisse nominato uno degli “Spitzenkandidats” (capilista) indicati dai raggruppamenti politici per la presidenza della Commissione. Dopotutto i diversi partiti politici, se avessero voluto, avrebbero potuto proporre i propri candidati, come è successo in queste ultime elezioni; è solo che i socialisti hanno deciso di non farlo per non venire meno a un accordo con il PPE (Partito Popolare Europeo), in base al quale Martin Schulz sarebbe diventato presidente del Parlamento, mentre i Verdi hanno corso nella lista “No a Barroso”, che era destinata a fallire per mancanza di altri candidati. Possiamo sperare e pretendere che il clamore che ha accompagnato la procedura in questa occasione permetta che non si verifichino accordi sottobanco che andrebbero a minare ancor di più la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

La crisi della fiducia: l’Europa deve essere in prima linea per ristabilire la fiducia nella politica

Quella della fiducia nelle istituzioni è una questione cruciale nell’attuale congettura storica, e il modo in cui viene affrontata dai leader politici determinerà la direzione democratica o totalitaria che prenderà l’Europa negli anni a venire. Il sondaggio dell’Eurobarometro pubblicato nell’aprile 2013 mostra come la fiducia nelle istituzioni europee sia crollata a livelli minimi storici, passando dal 57% del 2007 al 31% attuale. Ciò che sistematicamente attira meno l’attenzione è il fatto che la fiducia nei governi nazionali e nei parlamentari sia stata costantemente più bassa di quella nelle istituzioni dell’UE nell’ultimo decennio, attestandosi attualmente al 25%, per quanto riguarda i parlamenti nazionali, e al 23% per i governi nazionali. L’affluenza alle prossime elezioni europee senza dubbio toccherà i minimi storici, ma la tendenza è la stessa delle elezioni nazionali. Non si tratta di una cronaca sulle istituzioni europee ma una fase nella storia della democrazia europea in generale. Dalle statistiche si potrebbe anche evincere che le istituzioni europee siano maggiormente in grado di affrontare questa crisi rispetto alle istituzioni nazionali.

Bisogna però essere prudenti riguardo alle statistiche sulla fiducia nelle istituzioni. Il fatto che i cittadini europei possano essere critici e stanchi dei politici è una cosa positiva, ma quando si indaga sulla fiducia nelle istituzioni inevitabilmente si diffondono alcune idee sui politici che lavorano per quelle istituzioni. Ma tali bassi livelli di fiducia sono chiaramente una minaccia alla sopravvivenza delle istituzioni stesse.

Perché votare per istituzioni di cui non ci si fida? Gli appelli al dovere civico o all’“esercizio del diritto di esprimere la propria opinione” da parte di politici, istituzioni e associazioni sono, in questo contesto, probabilmente contro-producenti: innanzitutto, non offrono alcuna risposta al problema della fiducia; inoltre non riconoscono che l’astensionismo possa essere un atto politico, soprattutto in un sistema dove le schede nulle non vengono conteggiate e “nessuno dei candidati” non costituisce un’opzione valida. La realtà è che le istituzioni “rappresentative” in Europa non possono ignorare l’astensione di coloro che o non si sentono sufficientemente incentivati a partecipare alle elezioni o, per ragioni personali, si rifiutano di legittimare attraverso il voto le attuali istituzioni. Molti studi mostrano come non ci sia un disinteresse per la politica da parte dei cittadini, i quali, anzi, sono spesso desiderosi di partecipare in prima persona, ma le opzioni di partecipazione non corrispondono a quelle auspicate. Inoltre, i cittadini esigono che la democrazia europea non venga ridotta a una votazione ogni cinque anni, ma esista un continuo dialogo tra i cittadini e coloro incaricati di prendere le decisioni.

Queste crisi di fiducia nelle istituzioni politiche potrebbero prendere quattro direzioni diverse: un ritorno o un aumento della fiducia nelle istituzioni attraverso un cambiamento istituzionale decisivo; il culto di una personalità che prevalga sulle istituzioni; una risposta conservativa che si allontani da quelle istituzioni per avvicinarsi a un accordo dal passato (immaginario), in teoria, più favorevole o uno scenario rivoluzionario in cui le istituzioni siano sovvertite e sostituite da nuovi regimi di legittimazione. Il rischio ora è che le voci più forti nella politica europea per i cittadini siano rappresentate attualmente dai conservatori di estrema destra, che invocano il ritorno di un vecchio ordine nostalgico, mentre i partiti tradizionali difendono lo status quo o, come spesso accade, fanno concessioni alla destra xenofoba. In tale contesto l’astensione, se rimane così com’è e non si trasforma in altri tipi di azione democratica, tende ad amplificare ancor di più la voce dell’estrema destra.

Coloro che invocano un cambiamento radicale nel funzionamento istituzionale dell’Unione Europea per creare una nuova legittimità, a malapena vengono notati e questo in parte è dovuto al fatto che essi spesso finiscono per essere sopraffatti dal prevalere delle logiche nazionali dei maggiori partiti e dell’estrema destra: le logiche nazionali dei grandi partiti, che sono strutturati in modo da ricercare il potere principalmente nei contesti nazionali, nonché assecondare i leader nazionali, e gli interessi nazionali dell’estrema destra come parte di una nostalgia xenofoba (è presente anche un forte nazionalismo, in buona parte dell’estrema sinistra, che risulta meno dannoso solo perché, nella congettura attuale, è meno percepibile).

Le comunità di interesse comune e solidarietà tra le persone stanno di fatto aumentando in tutta Europa in maniera per lo più invisibile ai principali partiti politici e ai media tradizionali, e la crisi economica ha accelerato questo processo (mentre la storia dei media è sempre stata caratterizzata dalla tendenza opposta di divisione). Queste comunità europee di interesse comune non sono contraddistinte da logiche d’azione nazionali e, di conseguenza, attualmente non hanno la possibilità di esprimersi all’interno delle attuali istituzioni o dei principali partiti politici: sono, tuttavia, un segnale positivo che indica la nascita di un mondo nuovo, dove le nuove strutture istituzionali vengono lasciate indietro.

Le elezioni e tutto ciò che ne consegue

Da questa situazione si possono trarre almeno quattro conclusioni relative alle elezioni e all’azione politica successiva:

Per prima cosa, è di vitale importanza che coloro che saranno incaricati di prendere le decisioni capiscano che le attuali politiche di austerità stanno dividendo l’Europa e minando la fiducia nelle istituzioni, e che quest’ultima è una precondizione per la sopravvivenza delle istituzioni stesse, se fondate sulla democrazia. Dovrà esserci un netto allontanamento dalle decisioni prese negli ultimi cinque anni, che hanno provocato la miseria sociale e hanno spinto la gente a parlare di generazione sacrificata. In primo luogo si tratta di una questione politica e non istituzionale. Tuttavia, è molto probabile che, affinché vengano messe in atto politiche migliori, più socialmente eque e progressiste su una base stabile e democratica in tutta Europa (e non come “misure di emergenza”), debbano prodursi innanzitutto delle modifiche costituzionali, per conferire alle istituzioni europee maggiori poteri e fornire garanzie rispetto al fatto che le decisioni riguardanti l’esercizio di tali poteri vengano prese in modo tale da assicurare la protezione del bene comune in Europa.

In secondo luogo, si ritiene urgente un cambiamento istituzionale che assicuri l’unità e la trasparenza del processo decisionale europeo. Esso dovrà avvenire in modo da rafforzare la fiducia dei cittadini, coinvolgendoli direttamente o attraverso le organizzazioni della società civile per decidere come tale cambiamento debba essere portato avanti. Il Parlamento Europeo, in particolare, ha l’opportunità di creare mezzi di comunicazione continua con i cittadini, che si adattino all’era di internet contraddistinta da un continuo coinvolgimento e dibattito. Nel dibattito sul cambiamento istituzionale non ci dovrebbe essere alcun preconcetto in favore della restaurazione dei poteri ai parlamenti nazionali per affrontare il “deficit democratico”: né la partecipazione al voto dei cittadini o il tasso di astensione alle elezioni del Parlamento Europeo puntano in maniera inequivocabilea soluzioni “nazionali”.

In terzo luogo, c’è bisogno che emerga una voce progressiva unitaria per l’Europa in grado di rappresentare un punto di rottura con le decisioni degli ultimi cinque anni e che questa agisca in maniera realmente transnazionale. L’attuale supremazia del PPE e del PSE nelle politiche europee, e il fatto che entrambi i partiti siano ostacolati a livello europeo dai forti partiti membri nazionali, sta contrastando l’emergere di un’autentica soggettività europea che possa generare e formulare richieste particolari dei cittadini su scala transeuropea.

Infine, e come conseguenza dei punti precedenti, i cittadini europei dovrebbero affrontare queste elezioni come un promemoria del fatto che la politica si fonda sul loro volere, e questo conferisce potere alla gente. È questa l’eredità democratica e repubblicana dell’Europa, che è ben radicata nella sua popolazione. Sia che avvenga attraverso il voto alle elezioni o la mobilitazione durante il resto dell’anno per esprimere la propria opinione, prendere l’iniziativa per aumentare la solidarietà o trovare soluzioni innovative ai problemi della società, i cittadini devono assumersi la responsabilità della società in cui vivono e agire per cambiarla nel momento in cui viene percepita come inaccettabile.

Articolo: Niccolo Milanese
Traduzione: Benedetta Alpigiani