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Scacco matto all’Europa: democrazia con la pistola alla tempia

Posizione di Alternative Europee

“Non ci sono alternative” è una menzogna comunemente usata per coprire con un mantello di inevitabilità scelte economiche palesemente partigiane. Raramente questo ritornello è suonato così convincente a tante persone come oggi, con i governi di Italia e Grecia messi di fronte alla scelta tra obbedienza o bancarotta.

Al di là delle specifiche opinioni sui governi Monti o Papademos, non possiamo che dirci fortemente preoccupati dalla riduzione della vita politica in Europa a una competizione con un solo vincitore possibile. Indipendentemente dal fatto che Monti possa essere o meno una risposta valida alla crisi italiana, le condizioni strutturali che soggiaciono al processo di nomina ci parlano di una realtà pericolosa, che vede le democrazie europee sotto lo scacco dei mercati e il loro ricatto di far cadere i paesi in default. Le élites continentali, che siano i leader nazionali di Francia e Germania, il gruppo di Francoforte, o i padroni delle banche e delle grandi imprese finanziarie che traggono profitto dalla situazione attuale, sono riuscite a usare la crisi economica per dirottare le istituzioni europee e il processo di integrazione, che ora più che mai appare ai cittadini e ai politici dei paesi debitori come una camicia di forza che paralizza quanti vorrebbero prendere decisioni contro l’inesorabile ortodossia economica.

La sovranità nazionale accellera la sua decadenza. Gli stati europei pagano il conto della mancata unione federale, e la sovranità che si voleva ciecamente difendere viene ora consegnata a piene mani ai mercati e agli alfieri del pensiero unico. Questo è lapalissiano nel caso dei paesi “periferici”, ma non è meno rilevante per i paesi “centrali” e specialmente per la Francia: paesi che hanno ancora possibilità di implementare autonomamente le stesse ricette di austerità imposte all’Italia e alla Grecia, ma che non hanno più la possibilità di mettere in atto alcun modello alternativo, pena la perdita della “tripla A”, il rialzo del differenziale, pressioni europee, e caos finanziario. La sovranità resiste in questi paesi solo nella misura in cui viene utilizzata per rispondere “sarò come tu mi vuoi”. Ma non c’è sovranità senza la possibilità di scegliere di essere altrimenti.

Si chiude lo spazio per le alternative

Altrettanto preoccupante è il tentativo manifesto di chiudere ogni spazio per quelle alternative reali che stavano maturando nell’ultimo anno con la Primavera araba, le proteste pan-europee degli Indignados, il percorso dei referendum italiani, il movimento Occupy e il successo della dialettica che condannava l’ineguaglianza e il potere dell’1%. Sarà probabilmente una coincidenza che l’occupazione dello Zuccotti Park a New York, così come le occupazioni di suolo pubblico a Parigi e a Zurigo, siano state smantellate dalla polizia nello steso giorno in cui Monti è stato nominato Presidente del Consiglio in Italia. Ma è una coincidenza che la racconta lunga e che svela il desiderio di chiudere fisicamente ogni spazio di critica del modello esistente e delle risposte offerte finora alla crisi.

Corriamo un doppio pericolo. Da un lato, il messaggio inviato all’opinione pubblica è che per porre rimedio all’attuale crisi economica non esiste alternativa alle politiche di austerità e ad un ulteriore smantellamento del modello sociale Europeo. Il benessere del sistema finanziario viene reso equivalente del benessere delle persone, e qualsiasi politica economica divergente dalle raccomandazioni della BCE o del Fondo Monetario Internazionale viene bollata come immatura e inconcepibile.

Dall’altro lato, mentre tutte le forze politiche, sia in Italia che in Grecia, appoggiano senza riserve l’instaurazione di governi tecnocratici, importanti settori della popolazione che resistono a tale equivalenza, nella giusta convinzione che politiche alternative esistano e siano effettivamente praticabili, restano privi di rappresentanza politica. Si costruisce così un baratro tra i parlamenti e larghe fasce dell’opinione pubblica.

“Non ci rappresentano”, uno degli slogan simbolo della protesta degli Indignados, rischia ora di divenire una realtà per gran parte della popolazione, mettendo a serio repentaglio il funzionamento delle democrazie nazionali. Una situazione questa sicuramente non priva di opportunità per una nuova articolazione dell’alternativa, ma solo a condizione di riuscire ad adeguare strategia e metodi al nuovo contesto di sovranità diffusa e transnazionale, e di riuscire a fare i conti con un rinnovato discorso populista di destra pronto a riappropriarsi del controllo di parole fondanti quali democrazia.

La lotta per la democrazia europea

L’importanza centrale della dimensione europea dovrebbe essere ormai evidente a tutti. La crisi ha distrutto la favola che voleva l’Unione europea spazio apolitico, svelando invece una costruzione profondamente politica fondata su intrecci e commistione di interessi fra capitale finanziario ed establishment nazionale, sullo sfondo di ancillari istituzioni comunitarie ancora troppo deboli e troppo distaccate dalla cittadinanza per esercitare un efficace contropotere. Ma lo spazio per una risposta meramente nazionale che vada contro tali strutture, questa la lezione della transizione Monti, è preclusa. Non c’è quindi possibilità di riconquistare la capacità di decidere liberamente del destino delle nostre società e di aprire un varco a politiche alternative se non riusciamo a  pretendere e ad ottenere una democratizzazione radicale dello spazio europeo, contro tutte le tendenze attuali di delega del potere a logiche intergovernative, a élites economico-finanziarie e al consenso dei mercati.

La lotta per la democrazia e per l’autonomia deve essere ripresa con forza a livello transnazionale. La governance europea deve divenire spudoratamente politica, e ciò significa che partiti politici e movimenti europei devono offrire alternative chiare su scala continentale e avere il potere di portarle a fruizione. Le istituzioni europee e il processo di integrazione dovrebbero essere precisamente ciò che garantisce alla cittadinanza il potere di tornare a prendere le decisioni chiave sul proprio futuro, restituendo al singolo cittadino europeo la sovranità perduta dallo stato nazionale. È necessario uno sguardo a lungo termine: o una prospettiva che propone obbedienza e austerità per la maggioranza, oppure una prospettiva che riaffermi il controllo dei cittadini sull’economia e sul loro futuro comune. Noi scegliamo la seconda di queste prospettive, e crediamo che tale scelta sia condivisa dalla maggioranza dei nostri concittadini europei.

I prossimi mesi saranno un terreno di prova cruciale per la maturità dei cittadini e dei movimenti europei di insorgere e pretendere democrazia, eguaglianza, e istituzioni transnazionali capaci di garantire entrambe. E’ probabile che si andrà verso un graduale cambiamento dei trattati europei per garantire una governance economica sempre più coesa, ma è lecito temere che questa governance prenderà sempre più a suo modello la pratica del commissariamento perpetuo e la sottomissione anche costituzionale alle logiche e agli interessi della finanza.

Una grande mobilitazione che porti i cittadini di tutta Europa ad anticipare queste mosse e richiedere un profondo cambiamento nelle strutture decisionali europee non è oramai più rimandabile. Un processo di convergenza dei movimenti e del mondo dell’associazionismo europeo deve portare nel brevissimo termine a una visione concreta di un’Europa basata sulla partecipazione, sulla solidarietà, e sul controllo democratico dell’economia e della finanza. Con questi obiettivi Alternative Europee organizza un “Congresso per il Cambiamento”, che si terrà al Parlamento europeo il 30 novembre, quale punto di partenza di un processo di emancipazione politica che si svilupperà lungo tutto il 2012. E’ tempo di movimenti transnazionali. Ed è forse l’ultima opportunità che abbiamo di riappropriarci dello spazio continentale come spazio politico comune.

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