L'europa deviante: rischi e pericoli dell'ignorarlo

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Articolo di Lorenzo Marsili, Direttore Esecutivo, Alternative Europee

Traduzione di Benedetta Alpigiani

Data la mancanza di una direzione politica forte e determinata, l’Unione europea (UE) sta attraversando un processo di divergenza strutturale, caratterizzato da lavoro, crescita, produttività, concorrenza e traiettorie fiscali devianti rispetto al progetto originario. Non si tratta di una ripresa ma di un infelice ristagno senza occupazione. Ignoratelo a vostro rischio e pericolo.

Durante gli ottimistici anni ‘90, l’introduzione dell’euro doveva costituire il fulcro del processo di integrazione europea. Si pensava che la moneta unica costituisse il motore di una convergenza “più stretta” delle economie europee, così da promuovere un’integrazione più forte delle sfere pubbliche e delle politiche nazionali, che avrebbe poi portato alla creazione di un’unione politica.

Questa logica si è ora rivelata fuorviante e inadeguata. In assenza di una forte direzione politica comune, l’UE sta attraversando un processo di divergenza strutturale, che è caratterizzato da lavoro, crescita, produttività, concorrenza e traiettorie fiscali devianti. Ben lontano dal creare coesione, data la mancanza di politiche fiscali comuni, l’euro sta rafforzando questi sistemi di divergenza, minando il processo di legittimazione e le capacità di agire delle istituzioni transnazionali.

La politica monetaria, il settore in cui apparentemente è già stata raggiunta gran parte dell’integrazione europea, ne è l’esempio più eclatante: cinghie di trasmissione fallimentari comportano che i tassi d’interesse stabiliti dalla BCE per tutta l’Eurozona non si traducano in contesti finanziari simili nei vari Stati membri. Il recente abbassamento dei tassi d’interesse, che hanno toccato il minimo storico dello 0,25%, è stato pesantemente criticato in Germania. Tuttavia, in Spagna, le piccole e medie imprese (PMI) vivono una situazione totalmente differente: il tasso di rifinanziamento medio per le società dell’Europa del sud è vicino, se non superiore, all’8%, più del doppio degli oneri finanziari dei loro concorrenti del nord. A causa dell’assenza di fluttuazioni dei tassi di cambio, ciò va a costituire un freno enorme alla concorrenza delle imprese del sud, con il conseguente aumento del divario di produttività all’interno dell’Eurozona. Si potrebbero fare osservazioni analoghe sui tassi di rifinanziamento del debito pubblico.

Senza la svalutazione monetaria, atta a tenere sotto controllo gli squilibri, e coraggiose politiche fiscali comuni, l’austerità conduce alla svalutazione interna, andando a incidere pesantemente su lavoro, benessere sociale e investimenti per la crescita. In una relazione del 2013 della Croce Rossa Internazionale si mette in evidenza come l’Europa sia l’unico continente a contribuire all’aumento del numero di persone povere, anziché alla sua diminuzione. Questa dovrebbe essere una rivelazione sconvolgente per tutti noi.

Se non gestito, il processo di divergenza economica rischia di bloccare l’Europa in uno stagnamento a lungo termine, portando a un aumento delle disuguaglianze e della disoccupazione cronica. Tutto questo non si basa su una profezia di Cassandra ma su ciò che è scritto nei bollettini della BCE e del FMI. Un tasso di crescita medio dell’Eurozona dello 0,5/1% nel prossimo anno porterà, nel migliore dei casi, a stabilizzare il mercato del lavoro ai livelli inaccettabili attuali, mentre la ricchezza continuerà a essere polarizzata e metà dei giovani resteranno senza lavoro nell’Europa del sud, creando così una generazione smarrita e amareggiata.

Non si tratta dunque di una ripresa, bensì di un infelice ristagno senza occupazione. I meccanismi europei esistenti e pianificati sono, nella migliore delle ipotesi, puramente palliativi (come nel caso della “garanzia per i giovani”), se non del tutto recessivi e prociclici, come il Fiscal Compact (letteralmente “patto finanziario”), e la politica monetaria ortodossa della BCE. Non c’è alcun piano di investimento europeo in vista, così come mancano l“Abenomics per l’Europa” e una politica seria per tagliare i costi del rinnovo del debito. Non si tratta di certo di uno scenario confortante.

La divergenza economica trasforma l’euro in un nemico: la moneta unica funziona in alcuni paesi ma ne sopravvaluta pesantemente altri, con una banca centrale che non è disposta ad agire coraggiosamente per paura di mutualizzare le passività tra gli Stati membri. I sistemi economici lasciati a se stessi stanno spaccando l’Europa. E non c’è bisogno di essere marxisti per credere nell’enorme potere che gli andamenti economici hanno nell’influenzare l’evoluzione sociale, culturale e politica.

Il dibattito pubblico sull’Europa è caratterizzato da voci sempre più diverse e spesso in contrapposizione, sia nei paesi “centrali” che in quelli “periferici”. Assistiamo alla diffusione di nuove ostilità e al ritorno di stereotipi nazionali e diffidenza. Con il taglio degli investimenti nei campi dell’educazione e della ricerca in alcuni Stati membri, previsti dai piani di austerità, le competenze dei giovani europei si fanno sempre più diversificate. Perfino il principio di mobilità del lavoro, specialmente la mobilità dei giovani, ne sta soffrendo. Teoricamente, il grande spostamento dei giovani a cui stiamo assistendo in tutta Europa può essere visto come un fattore di integrazione estremamente positivo. Tuttavia, questa mobilità assomiglia più ai flussi migratori del secolo scorso e meno al movimento circolare della vivace generazione Erasmus. I giovani del sud si spostano verso nord, attraverso una migrazione unidirezionale che priva di capitale umano solo alcuni stati e rappresenta sempre più un effetto coercitivo di squilibri di potere in tutta l’UE.

È possibile ricompattare l’Europa e fare sì che tutto funzioni per il bene dei cittadini. La buona notizia è che non mancano proposte dettagliate su ciò che si dovrebbe fare. Negli ultimi tre anni European Alternatives ha organizzato più di settanta incontri e tredici forum internazionali in sedici paesi, coinvolgendo migliaia di cittadini nella stesura di un manifesto politico dettagliato, contenente più di ottanta pagine di proposte politiche per un’Europa democratica e più giusta. Attualmente, stiamo portando il manifesto in diciotto paesi europei con le nostre carovane transeuropee.

All’interno di questo manifesto sono contenute idee e proposte concrete per tenere sotto controllo il mondo finanziario e far ritornare le banche al loro ruolo originario di salvaguardia dei risparmi e prestiti alle imprese, modifica dello status della BCE, per far sì che questa si concentri sull’occupazione, creazione di standard sociali comuni minimi che proteggano i cittadini europei dalla riduzione in povertà. E ancora, introduzione di salari e redditi minimi, riconversione industriale, mutualizzazione del debito e investimenti per la crescita.

Molte di queste politiche richiedono in tutta Europa meccanismi strutturali di governance, legittimi e democratici, che tengano conto del mercato del lavoro, della redistribuzione della ricchezza, del sistema d’istruzione, del sistema di previdenza sociale e della politica industriale. Si può fare già tanto con l’assetto istituzionale esistente, a patto che ci sia sufficiente volontà politica. Paesi come Francia, Italia, Spagna, per citarne alcuni, destinatari di politiche di austerità controproducenti, dovrebbero assumere una posizione negoziale più dura e spronare la BCE – quando detengono la maggioranza del suo Comitato esecutivo – a intraprendere una politica reflazionistica non convenzionale, allo scopo di scongiurare il rischio di deflazione e ridare credito alle piccole e medie imprese Gli investimenti devono confluire verso la periferia, attraverso lo sblocco di obbligazioni di scopo emesse da società che realizzano un progetto infrastrutturale o un servizio di pubblica utilità (project bonds)generalmente garantite. Un piano europeo sostenuto da risorse concrete deve tenere sotto controllo la disoccupazione giovanile.

Non possiamo permetterci di accettare le conclusioni del dibattito orientativo europeo raggiunte finora; uno spettacolo deprimente segnato da un’unione bancaria timida e inefficace, dall’ossessione del disavanzo del 3% stabilito oltre vent’anni fa a Maastricht e da un netto rifiuto della mutualizzazione del debito e di una politica monetaria non convenzionale. Queste politiche e i trattati che le racchiudono devono subire un cambiamento radicale e i partiti “principali”, in particolare i partiti socialdemocratici, devono essere protagonisti di tale cambiamento alle prossime elezioni europee. Altrimenti dovranno guardare i cittadini adottare misure estreme e allontanarsi dal progetto europeo.

La divergenza economica sta causando la disperazione sociale e questa rappresenta un rischio esistenziale per l’Europa di gran lunga superiore rispetto all’attacco speculativo del 2011 sul debito sovrano. Ignoratela a vostro rischio e pericolo.